Dati dei clienti per fare marketing non portano a risultati positivi perché le aziende non hanno ancora imparato a leggerli ed utilizzarli
E’ già dovrebbero rappresentare il valore massimo per un’azienda che se ne deve servire per orientare le proprie strategie di business.
Pensate ad un club che per definire lo sviluppo di nuovi prodotti e soprattutto per migliorare l’efficacia delle attività in essere, non riescono a trasformarli in strategia di fidelizzazione commettendo errori banali che deludono le aspettative dei clienti del club.
Eppure i dati dovrebbero rappresentare la formula matematica che non ammette errori e che rappresenta la scienza quasi esatta per definire le strategie.
Ma c’è un “ma”, rivelato da uno studio di Siticore, un’azienda danese che manifesta tutta la sua passione nel gestire al meglio il rapporto tra impresa e consumatore.
Siticore ha realizzato un’indagine di mercato in 14 paesi su 6800 consumatori e 680 decision maker con l’obiettivo primario di capire come i marchi gestiscono i dati raccolti dall’interazione con i consumatori e, qui viene il bello, come li usano per offrire poi una adeguata esperienza personalizzata.
Il 96 per cento dei consumatori, udite, udite, dichiarano di essere profondamente delusi da coloro con i quali hanno condiviso i dati in funzione della promessa di un’interazione con il brand, ovviamente mirata alle proprie esigenze.
Cattiva personalizzazione che è peggio della non personalizzazione.
Bigdata barcolla sulla consapevolezza che le aziende hanno di concentrarsi sui dati e che ben il 79 per cento di esse, reputa la personalizzazione un fattore estremamente prioritario.
I risultati però smentiscono l’analisi che invece dimostra che le aziende sì, raccolgono i dati, ma poi non sanno gestirli.
Quanti club in questo momento in Italia hanno le competenze o le risorse per utilizzare o analizzare correttamente i dati raccolti. Neanche uno.
Nell’indagine svolta da Siticore che si riferisce evidentemente ad un panorama d’impresa vasto e variegato, il 31 per cento delle aziende interpellate non ha le competenze per utilizzare o analizzare i dati sui clienti ed il 42 per cento non possiede le capacità per integrare la raccolta di informazioni.
Soltanto il 12% è in grado di raccogliere i dati a livello individuale e non sul segmento di consumatori.
Gli errori più banali che possono fare i club? L’invito a frequentare il centro a individui che vivono a distanze incolmabili, insistere con i clienti che hanno fatto una volta pilates consigliando loro di fare ancora pilates, tutta la vita pilates, quando invece loro vorrebbero fare altro, perché a fare solo e soltanto pilates si sono rotti gli zebedei, per non parlare poi delle promozioni personalizzate alle famiglie dei single.
Succede che benchè i clienti spontaneamente offrono informazioni affinchè i brand comprendano i loro bisogni e desideri, le aziende non sono in grado di trasformare questi dati in informazioni di valore e quindi sono obbligati a rinunciare alla opportunità di incrementare fidelizzazione e vendite.
I tempi sarebbero maturi ma i numeri ancora molto molto acerbi.