Memoria: la foto scomparsa, negata, introvabile, cancellata dalla rete….
La storia comincia da questo post che si riferisce ad una foto che risulta introvabile nei social: “ E’ una foto della rivista Life del 1996 dove un bambino dormiva, dopo averlo cucito, sopra un pallone della Nike?”
https://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20120228070102AAjyIVu
I post che seguono sembrano confermare questa tesi:
“Ho provato a cercare su internet e su torrent ma non riesco proprio a trovarla, ho tentato con varie parole chiave ma nulla. Possibile che sia proprio scomparsa? Come trovarla?
Aggiorna: E su programmi di condivisione come emule? Dite che non si riesce proprio a trovare? Qualcuno deve pur averla tenuta da qualche parte!”
Colto dalla sindrome di Indiana Jones alla scoperta della foto perduta e con Corona, il maggior esperto di fotografie compromettenti del pianeta, in stato di latitanza, nell’era di Instagram e del selfie facile, come non essere tentato dall’idea di comprendere come qualcuno, indubbiamente potente, possa aver tentato di cancellare nella mente degli individui, un’immagine che all’epoca aveva prodotto danni irreversibili e che adesso sarebbe lì, come un monumento, a testimoniare il cambiamento invece di sviluppare azioni di tecniche di negazionismo. E quanto sarà costata un’operazione del genere?
La nostra storia inizia nel 1996 e si conclude nell’anno di grazia 1997. Il giorno 18 del mese di ottobre del 2017, sono trascorsi esattamente 20 anni, da quella data, che ho vissuto in piena maturità, e che non posso non ricordare. Molti della vostra generazione (quella che precede la generazione dei nativi digitali), i cosi detti millennials, erano giovanissimi.
Mia figlia aveva 14 anni, è certamente non ha memoria di quel periodo che i media non possono raccontare per evidenti ragioni che sono le stesse per cui certe immagini devono essere oscurate e abbandonare definitivamente le menti degli individui.
Erano gli anni in cui Phil Knight, A D della Nike, era osannato come grande esperto di marketing e soprattutto come stratega del branding (brand strategist).
La sua fama veniva amplificata da decine di pubblicazioni e da centinaia di studenti in economia e commercio, marketing e comunicazione, che vedevano in lui l’anello di congiunzione tra gli studi universitari e la pratica quotidiana applicata all’impresa.
E’ l’inizio di una storia felice, ricca di grandi soddisfazioni e di immeritate lusinghe.
La luce si spense un giorno del 1997 durante una delle tante conferenze dove Knight veniva periodicamente invitato per trasferire le sue competenze.
Quel giorno l’amministratore delegato della Nike si trovò di fronte una folla di studenti che avevano soltanto voglia di insultarlo e beffeggiarlo:
“Ehy, Phil, paga ai tuoi lavoratori un salario che consenta loro di sopravvivere“.
Nel mese di maggio di quel 1997 nella sede della facoltà di economia e commercio dell’Università di Stanford, si formò il primo nucleo di agitati componenti del movimento anti Nike.
L’astio, e in certi casi l’odio nei confronti della Nike, era nato per via dei tanti articoli che raccontavano al mondo lo scandalo dei lavoratori sfruttati dall’azienda.
The Big One di Michael Moore che racconta la fuga delle grandi corporation americane dal proprio territorio per andare ad impiantare le fabbriche nei paesi dell’est asiatico, nonostante i favolosi profitti che producevano, si conclude con un’intervista proprio a Phil Knight nella sua base di Portland.
Di fronte ai fatti riferiti da Moore, Knight cede ed ammette di aver impiantato fabbriche in Indonesia, un paese asfissiato dal regime militare, e di aver assunto operai bambini a stipendi da fame.
Il video, che trovate su internet, finisce con una donazione di Knight di 10.000 dollari, un’elemosina che invece di lenire, aggrava ancor di più le malformazioni e le ignominie del sistema creato dalla Nike e che sfocerà il 18 ottobre dello stesso anno (1997) in un’imponente manifestazione in 85 città di 13 paesi.
Ai tempi oltre all’Indonesia, paese governato da Haji Mohammed Suharto, efferato dittatore salito al potere nel 1968 è colpevole di aver massacrato più di un milione di oppositori politici, uno dei peggiori genocidi perpetuati nell’inerzia compiaciuta dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, la Nike produceva anche nel Vietnam e pagava un operaio 1,6 dollari al giorno per confezionare le scarpe che poi rivendeva in occidente ai prezzi che probabilmente anche voi avete sborsato e che quindi conoscete molto bene.
Ma la pietra tombale per la società di Knight fu senza dubbio il Pakistan, quando nel 1996 la rivista Life pubblicò la foto di un dodicenne pakistano che cuciva un pallone da calcio firmato Nike.
E’ quella foto scomparsa che ha lavato la vergogna e che adesso non può essere negata alle nuove generazioni.
Il 18 ottobre 2017 non abbiamo ricordato quei giorni ma abbiamo tenuto memoria di quanto i dirigenti dell’azienda di Portland hanno promesso a quella folla di studenti che rivendicavano i diritti per i loro simili e cioè:
” mai più Sialkot….” dove ogni bambino era in grado di cucire tre palloni della Nike al giorno a mezzo dollaro a pallone, perché le loro mani piccole erano più veloci ad infilare l’ago nei ritagli esagonali del cuoio e lo sfruttamento minorile sfiorò l’apice mondiale dello scandalo infinito con conseguenze catastrofiche per l’immagine della marca che comunque seppe correre ai ripari evitando di scomparire dal mercato e modificando l’iter del processo produttivo affidandosi ad aziende pakistane in grado di garantire l’organizzazione mondiale del lavoro, anche se qualcuno sospetta che il lavoro a domicilio, senza controllo, consenta ancora di sfruttare il lavoro minorile negli Stati dell’est asiatico.
Non si scriverà mai abbastanza sui mali del lavoro minorile. Non si scriverà mai abbastanza sui mali fisici, psichici, intellettivi, morali, subiti dai bambini che sono condannati al lavoro.
Talvolta basta una foto per cambiare la storia. E nel 1996 la foto che vedete fu pubblicata dalla rivista Life e raccontò al mondo lo sfruttamento che Nike faceva del lavoro minorile.
In quel periodo Michael Jordan, uno dei testimonial dell’azienda valeva 44.492 anni di lavoro di un operaio indonesiano, forse bambino.
Ma se questa foto ha cambiato la storia in bene perché è stata volutamente cancellata dalla memoria?