Il lavoro per pensare al futuro con uno sguardo al passato per ricordare chi ci aveva comunque allertato senza creare paure o stati di panico.
Non so quanti di voi hanno letto in passato quel saggio che Jeremy Rifkin scrisse nel 1995 “La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato” il cui titolo originale era appunto: ”The end of Work: The Decline Of The Global Labor Force And The Dawn Of The Post-Market Era”.
Sono certo che per chiarirsi le idee è una lettura o rilettura che suggerisco a tanti, anche a tutti quelli che pensano di poter istruire gli altri e non trovano il tempo per riaggiornarsi rispetto alla velocità con cui il tempo oggi produce il cambiamento.
La rivoluzione tecnologica e informatica che ha segnato gli ultimi decenni del ventesimo secolo e l’inizio del terzo millennio, come conferma l’ouverture dell’edizione che sto rileggendo, ha determinato uno sconvolgimento, prima lento e poi veloce ed oggi sempre più veloce, nel mondo del lavoro, caratterizzando la progressiva scomparsa di alcuni mestieri e determinando la crescente obsolescenza delle abilità e delle competenze acquisite dai lavoratori delle generazioni meno giovani.
Il saggio si impone come una piattaforma in linea con l’idea che “Prevedere il Futuro” può ergersi a salvaguardia di quello che abbastanza ingenuamente ancora continuiamo a chiamare destino.
Nel 1995 Rifkin sosteneva che stavamo entrando nell’era della “fine del lavoro” dove calcolatori e robot, algoritmi ed intelligenze artificiali, avrebbero sempre di più sostituito l’uomo e la donna in una serie crescente di settori produttivi, un fenomeno che le professioni emergenti non saranno in grado di arginare.
Ci penserà poi la globalizzazione a creare una massa sempre più consistente di disoccupati.
Nel suo saggio, intelligente e provocatorio, quanto pieno di speranze per il futuro, Jeremy Rifkin, non prospetta l’imminenza di una catastrofe socioeconomica, ma ci spiega come sarà possibile sfruttare le potenzialità della tecnologia per evitare il collasso e creare un nuovo e più umano ordine sociale.
Ma già molti anni prima della pubblicazione de’ “La Fine del Lavoro”, all’alba della rivoluzione informatica, il filosofo e psicologo Herbert Marcuse in “Eros and Civilization” (1964), faceva una profetica osservazione che, come racconta lo stesso Rafkin, ha ossessionato la nostra società, nella sua transizione verso l’era informatica:”L’automazione, scriveva Marcuse, minaccia di rendere possibile il ribaltamento del rapporto tra tempo libero e tempo di lavoro. Il risultato sarebbe una radicale transvalutazione dei valori ed una modalità di esistenza incompatibile con la cultura tradizionale. La società industriale avanzata è in mobilitazione permanente contro tale eventualità”.
Yoneji Masuda, uno dei principali difensori ad oltranza della rivoluzione informatica giapponese, è d’accordo con il discepolo freudiano sul fatto che la rivoluzione del computer aprirà le porte ad un radicale riorientamento della società, dal lavoro organizzato verso la libertà personale. E questo avverrà per la prima volta nella storia.
Masuda sostiene che, mentre la rivoluzione industriale era innanzi tutto interessata ad incrementare il volume della produzione materiale, il contributo più importante della rivoluzione informatica sarà la produzione di un forte aumento del tempo libero che darà agli esseri umani la libertà di determinare volontariamente il proprio futuro.
Nell’incontro del 19 – 20 & 21 ottobre a Prato affronteremo il tema del lavoro dal punto di vista delle ASD e SSDRL:
coinvolgendo i migliori esperti che stanno contribuendo alla diffusione della nuova cultura d’impresa.
Per info 059.225940